Addio a Jane Birkin

Icona di stile, una ragazza semplice, ma con quel “certo non so che” che la rendeva davvero speciale. Bellissima, semplice molti dei suoi outfit sono stati copiati all’infinito, io personalmente è grazie a lei che ho amato le borse di paglia, ma andiamo per ordine.

Oggi questa meravigliosa ragazza di 76 anni ci ha lasciato a Parigi. Il mondo della moda e della musica già la piangono e ricordano. Io nel mio piccolo sono andata spulciando qualche informazione in più e vorrei condividere con voi cari lettori qualcosa che possa far rimanere questa donna nei nostri cuori. Ricordata per il suo modo di essere rendeva stiloso qualsiasi capo: un paio di jeans a zampa, una cintura di pelle, una camicia maschile, ma anche un semplice pullover ed  una canottiera d’estate. Per la sera un mini-abito nero, lungo di maglia. Attenta ad evitare esagerazioni con i tacchi, le stampe o i gioielli. I capelli sempre sciolti, il make-up quasi assente. Semplicissimo imitare il suo stile, ma la sua normalità ricercata in effetti non è così semplice da copiare. La natura l’aveva dotata di gambe lunghe, seno piccolo ed una discreta altezza cose non trascurabili per rendere elegante qualsiasi mise.

Nel caso di Jane Birkin a contare non è il cosa indossasse, ma il come.

Naturalmente un capitolo a parte sono le borse. Per anni non ha usato nient’altro che un cesto di paglia: ai ricevimenti, al mercato, in volo, per le vie di Parigi, al mare. Al massimo, avvolgeva un foulard di seta attorno al manico per renderlo più colorato. Come con gli abiti, l’ostentazione e la moda non le interessavano. E probabilmente avrebbe continuato a usare sempre e solo quello  se, nel 1984, non le fosse capitato su un volo per Londra di sedersi accanto a Jean-Louis Dumas, il presidente di Hermès. Lui la vede tentare inutilmente di infilare la sua sporta di midollino nello scomparto sopra i sedili: ma quella si apre, e il contenuto le si rovescia addosso. Frustrata, Jane inizia a raccontare a Dumas come vorrebbe la sua borsa da viaggio: Dumas ascolta, prende appunti, studia. E così nasce il mito.

Foto e testo ispirato da La Repubblica

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