Oggi parliamo di marketing e di nuove scoperte nella ricerca.
Durante la mia rassegna stampa settimanale, mi sono imbattuta in un articolo che ha subito catturato la mia attenzione. Il titolo originale, in inglese, era il seguente: “The market advantage of a feminine brand name”. Da appassionata di brand e studiosa di comunicazione e marketing non potevo far altro che leggerlo.
L’articolo originale è uscito sulla rivista “Journal of Marketing” e afferma, in sostanza, che i brand con nomi femminili sono preferiti dai consumatori.
Partiamo dal presupposto che il nome di un marchio è incredibilmente importante. Nella maggior parte dei casi, il nome è la prima cosa che i consumatori imparano su un marchio. E il nome di un marchio fa il lavoro di comunicare ciò che il marchio rappresenta. Il brand name, nel marketing, fa parte delle cosiddette “tessere cognitive”, ovvero quelle componenti del brand system che servono a far conoscere, riconoscere e ricordare il brand stesso. Il brand name può puntare su elementi immediati e denotativi (ad esempio “4 Salti in padella”) oppure dal significato più fantasioso e connotativo (ad esempio, “Tic Tac”).
Tornando ai risultati dello studio: cosa si intende con “nomi femminili”?
Prendiamo ad esempio marchi iconici come Nike, Coca-Cola e Disney. Cosa hanno in comune? Hanno tutti nomi linguisticamente femminili. Ma come puoi sapere se un nome è linguisticamente femminile?
Gli studiosi affermano che un nome si può definire linguisticamente femminile se:
1. ha due o più sillabe e accento sulla seconda o successiva sillaba;
2. finisce con una vocale.
In particolare, il numero di sillabe in un nome, la cui sillaba è sottolineata, e il suono finale, tutti trasmettono il genere maschile o femminile. Le persone associano automaticamente la lunghezza del nome, l’accento e il suono finale ai nomi di uomini o donne perché la maggior parte dei nomi delle persone segue determinate regole.
Prendendo come riferimento i nomi inglesi, gli autori dello studio riconoscono che i nomi delle donne tendono ad essere più lunghi, hanno più sillabe, hanno l’accento sulla seconda o successiva sillaba e terminano con una vocale (ad esempio, Amánda). I nomi degli uomini tendono ad essere più brevi con una sillaba accentata, o con l’accento sulla prima di due sillabe, e terminano in una consonante (ad esempio, Éd o Édward).
Spesso ci relazioniamo a marchi come le persone: li amiamo, li odiamo, siamo più o meno fedeli a determinati brand. Associamo i marchi con tratti maschili o femminili in base agli indizi linguistici nel nome. Quindi, gli attributi associati al genere, come il calore, si legano ad un marchio a causa del suo nome.
Il “calore” è la qualità dell’essere buoni, tolleranti e sinceri. I ricercatori ritengono che il calore sia incredibilmente importante perché nel profondo del nostro passato evolutivo, le persone dovevano esprimere un giudizio rapido ogni volta che incontravano qualcuno di nuovo: questo estraneo è una minaccia o no? In altre parole, questo sconosciuto è pericoloso o affabile? Se il nuovo arrivato non era sufficientemente caloroso, si innescava una reazione di combattimento o fuga. Le persone, ogni giorno, fanno ancora affidamento su giudizi di calore per decidere che tipo di relazione instaurare con la persona che si trovano di fronte.
Non sorprende quindi che il calore sia una caratteristica importante della personalità del marchio. E poiché i nomi linguisticamente femminili trasmettono calore, caratteristiche come la fine in una vocale sono vantaggiose per i nomi di marca. Come spiega Ruth Pogacar, autrice dello studio: “Troviamo che i marchi linguisticamente femminili sono percepiti come più caldi e quindi sono più apprezzati e scelti più frequentemente, un effetto che chiamiamo il vantaggio del brand femminile“.
Ma tutto questo conta in termini economici? Sì, secondo la classifica Interbrand Global Top Brand, che si basa sulla performance e sulla forza del marchio. Un altro autore dello studio, Justin Angle, dice che: “Analizzando le proprietà linguistiche di ciascun nome negli elenchi di Interbrand negli ultimi vent’anni, troviamo che i marchi con nomi linguisticamente femminili hanno maggiori probabilità di far parte dell’elenco. E inoltre, più un marchio è classificato in alto, più probabilmente avrà un nome linguisticamente femminile “.
Dopo aver osservato questa tendenza nella preferenza di brand con nomi linguisticamente femminili, i ricercatori hanno condotto una serie di esperimenti per approfondire questo fenomeno. I partecipanti hanno riferito che i marchi con nomi linguisticamente femminili sembravano più calorosi e questo ha aumentato le loro intenzioni di acquisto. Questo modello si è verificato con marchi noti e marchi di make-up con cui i partecipanti allo studio non avevano alcuna esperienza precedente.
Come ogni ricerca, anche questa ha i suoi limiti. Per esempio, gli studiosi hanno rilevato che quando un prodotto è specificamente mirato a un pubblico maschile, i nomi dei brand maschili e femminili sono ugualmente apprezzati. Inoltre, alle persone piacciono i nomi linguisticamente femminili per i prodotti edonici, come il cioccolato, ma potrebbero preferire nomi maschili per prodotti strettamente funzionali.
Inoltre, è fondamentale sottolineare che, al variare della lingua che si prende come riferimento, varia anche la percezione di “femminilità” di un nome. Infatti, come riportato poco fa, gli autori hanno usato come esempio di nome maschile Edward, affermando che i nomi maschili terminano più frequentemente con una consonante. Nella nostra lingua questo non è valido. Per l’italiano, invece, potremmo molto semplicemente riconoscere che la maggior parte dei nomi femminili finiscono con la vocale “a”.
Soffermandomi a pensare, mi rendo conto che anche noi italiani utilizziamo moltissimo il femminile per riferirci ai brand. Prendiamo i marchi citati dagli autori dello studio: come li chiamiamo? LA Nike, LA Coca-Cola, LA Disney. Di fatto, tali nomi sono neutri. Non avendo il genere neutro nella nostra lingua, dobbiamo attribuire loro il maschile o il femminile. Scegliamo il femminile, forse, perché crea implicitamente un maggiore legame con il brand? Stando agli autori della ricerca, la risposta a questa domanda è affermativa.